giovedì 20 maggio 2010

Botta e risposta

Segnalo un botta e risposta apparso nei giorni scorsa sulle pagine de "Il Fatto Quotidiano", a sua volta segnalatomi da un attento collega.

Il 12/05/2010 e' apparso un articolo di Paolo Bertinetti (Preside della Facolta' di Lingue presso l'Universita' di Torino), relativo agli emendamenti al disegno di legge su Universita' proposto dal ministro Gelmini. In questo articolo si criticava soprattutto la proposta del PD di portare a 65 anni l'eta' pensionabile, vista in modo molto (troppo) negativo dall'autore dell'articolo:
La Commissione parlamentare sta approvando gli emendamenti al disegno di legge sull’Università. La Gelmini ha dichiarato che se i suoi contenuti fondanti fossero radicalmente modificati ritirerà il disegno di legge.
Questo, si potrebbe pensare, è il risultato che l’opposizione dovrebbe proporsi. Già ora in Commissione; e poi in Parlamento. Il problema è che l’intenzione sembra quella di limitarsi a cambiamenti secondari. ‍Meloni, responsabile del Pd per l’Università, di recente ha scritto un articolo in cui critica i punti basilari del ddl. Ma non si capisce quali siano gli atti che dovrebbero discendere dalla sua analisi. Certo, gli atti dovrebbero innanzitutto venire dal mondo universitario, che invece si nasconde, vuoi per connivenza (parecchi rettori), vuoi per sconforto, vuoi per indifferenza. I ricercatori sono gli unici disposti a schierarsi. Difendono se stessi e difendono l’idea dell’inaccettabilità della figura del ricercatore a tempo determinato. Dalla loro battaglia, che ovviamente tocca anche gli altri aspetti del ddl, può venire la spinta indispensabile affinché l’opposizione faccia il suo mestiere. Ma lo faccia comunque, invece di dare una mano alla maggioranza. Come con il curioso emendamento che ha proposto all’art. 13, prevedendo di anticipare l’età pensionabile. Per liberare più posti per i giovani, ha spiegato ai Democrats l’abile Letta; ma qualcuno gli ha fatto il calcolo, peraltro facile, dell’enormità della voragine che dicolpo si aprirebbe nella docenza dell’Università italiana? Tutti sappiamo che l’Università italiana è sotto-organico rispetto agli altri Paesi europei e che quindi il numero dei docenti dovrebbe essere aumentato. Tutti sappiamo che, invece, da due anni a questa parte esso viene addirittura diminuito, perché per ogni due docenti che vanno in pensione si procede a una sola assunzione. E sappiamo anche che in questi due anni e nei prossimi due la cessazione dei professori è stata e sarà comunque massiccia.
La richiesta da fare non può certo essere quella di favorire un salasso ancora maggiore. Ma deve essere quella dell’abolizione di tale provvedimento, imposto da Tre-monti. Sempre che si voglia davvero impedire lo svuotamento dell’Università e consentire l’ingresso ai giovani più meritevoli invece di costringerli a emigrare.


Il ragionamento non solo non sembra filare, ma sotto sotto ci si legge una difesa della lobby dei baroni universitari, che non sembrano poi tanto contenti di lasciare il loro posto alla marea di ricercatori pronti a subentrare. Pronta e' stata anche la risposta dello stesso Marco Meloni, sempre sulle pagine del "Fatto", pubblicato il 18 Maggio:


L’intervento del 12 maggio di Paolo Bertinetti, “L’Università senza giovani”, piuttosto critico sulla posizione del Pd riguardo al ddl Gelmini, mi dà l’occasione per chiarire alcune nostre proposte. Le critiche di Bertinetti sono due. In primo luogo sostiene che il Pd vorrebbe limitarsi a cambiamenti secondari. Noi invece critichiamo il progetto del governo proprio perché non affronta i nodi centrali del sistema: regole chiare e percorsi rapidi per i docenti, valutazione rigorosa degli atenei, diritto allo studio. Risorse adeguate e criteri di ripartizione fissati in legge. Chi invece sostiene che il sistema non abbia bisogno di alcun intervento, rischia di diventare il miglior alleato della Gelmini. In secondo luogo, Bertinetti critica la nostra proposta di portare la pensione dei docenti a 65 anni. Si può anche non essere d’accordo, ma sostenere che il risultato sarebbe un’università senza giovani, è davvero troppo. Proponiamo che le risorse derivanti dai pensionamenti siano interamente destinate all’assunzione di nuovi docenti: quindi al limite ci sarebbero due nuovi docenti per ogni pensionamento, e non viceversa. I dati sono impietosi: abbiamo la classe accademica più anziana del mondo occidentale. Il Pd vuole portare uno shock generazionale all’università italiana, per abbassare di 10 anni in 10 anni l’età media del corpo docente, con percorsi equi, chiari, rapidi per i giovani. Tra le nostre proposte, un contratto unico di ricerca per abolire le forme di precariato, e un vero percorso di ruolo, con la posizione già attivata in organico. E, da subito, grandi spazi per l’immissione dei ricercatori attuali nei ruoli di docenza. Anzi, nel ruolo unico. Il governo è sordo rispetto a ogni proposta. La riforma è un bluff: né efficienza, né qualità, né merito, ma solo centralismo e burocratizzazione. Sono rimasti solo i tagli: -20% in tre anni. Per cambiare realmente l’università siamo pronti a contrastare tutti i conservatorismi. Di destra come di sinistra.


Insomma qualcosa sembra muoversi...! Ed e' anche vero che sono soprattutto i ricercatori e gli studenti, in agitazione questa settimana un po' in tutta Italia, a rendersi conto meglio di tutti gli altri (professori, politici, vertici e baroni) della situazione e di cosa significhi avere obiettivi, e portarli a termine.